Anna Naletto
Opera 1^ classificata
Notte senza stelle
(Dedicata a mia figlia Silvia e alla sua amica Nicole)
È proprio questa sensazione di vuoto che sento dentro,
che mi fa tremare di paura;
al di là delle parole che si perdono nelle notti passate a scrivere,
per dare risposte a domande, che incendiano l’anima;
al di là di quei silenzi, che strappano il cuore a chi li sa ascoltare,
e che troppe volte diventano il rimpianto,
di chi invece, non ha saputo capire.
E mi distrugge, spiare dalla porta socchiusa,
il tuo sonno senza riposo
e le tue lacrime, che urlano il dolore dell’addio,
per chi ha dato la propria vita, per un’illusione
o forse solo per aver cercato un sogno, che di certo non era il tuo.
Se solo potessi bambina mia,
le regalerei un po’ del mio respiro, per cancellare dal tuo volto,
la tristezza di aver perso la luce dei suoi grandi occhi,
e per dare a lei la possibilità di disubbidire,
a quel richiamo che non ha perdonato l’ingenua follia,
di aver chiesto alla vita, forse troppo.
E ora dall’alto della mia inutile impotenza,
piango senza far rumore,
per lei che è morta prima ancora d’aver vissuto,
per te che ti tormenti per colpe che di certo non hai,
per tutti i ragazzi che vivono prigionieri di una società malata,
e per tutti quei genitori che come me,
attendono l’alba di un nuovo giorno,
sperando che domani sia migliore.
Orazio Gennuso
Opera 2^ classificata
Se non avessi osato
Ricordati di osare.
Se tacitamente tenti il cielo,
presto o tardi,
il cielo si accorgerà di te
e se cavalchi la tigre,
prima o poi,
ne avrai gli artigli.
Non lanciarti però a capofitto
nell’abisso:
coraggio è dominio sulla paura,
non incoscienza o follia.
Scendi dunque in profondità,
ma con cautela,
come se fosse, la tua,
una risalita.
Oggi non saprei chi sono
se non avessi osato.
Augusta Potestà
Opera 3^ classificata
Il pianoforte
Lento, dolce, s’innalza verso il cielo
il suon di un pianoforte
che nella notte rapisce l’anima.
Mi trascina in un vortice
di sogni, ricordi, rimpianti.
Bagna il volto mio di lacrime
che brillano come piccole stelle
al chiaror della luna.
Poi, quando il suono tace
ritorna inesorabile il presente.
Emanuele Tagliafichi
Opera 4^ classificata
Ritornando a Cadice
Profili accennati
di ricordi lontani.
Frammenti di vita
che credevo d’aver archiviato.
Brividi antichi
che la tiepida brezza marina
mi dona ogni volta
che posso fare ritorno.
Membra assetate
che rincorrete esauste
il profumo dell’aria salmastra
troverete ristoro
in queste onde argentate
dal moto perpetuo sospinte
pazienti custodi discrete
di giovani ardite speranze.
Ed ora finalmente qui
seduto sul bordo dell’anima
ascolto i sussurri materni
dei soffi di vento che a Cadice
son da sempre presenza importuna
e rivivo con nostalgica gioia
momenti passati
di dolce abbandono.
Domenico Sergi
Opera 5a classificata
Provocazione… oggi
Molti ne hanno parlato
in tanti hanno sentito
ma c’è ancora chi si domanda
«… Dio esiste?e se sì, chi l’ha visto?…»
La voce gira, e gira ancora
gira tutto il paese…
la gente più non sa cosa pensare…
La denuncia c’è stata
… ai Carabinieri.
Qualcuno interessò pure
… la Magistratura.
Ci sono dubbi, ma tanti son convinti…
la gente mormora
e quando questo accade, si sa,
qualcosa c’è di vero
cosa succederà?
… I Servizi segreti… (faccio bene a dirlo?)
sono stati allertati (anche quelli…!)
Dicono che i Ris stanno indagando
quasi ‘casa per casa’
senza dare nell’occhio
senza destar subbuglio
certo con parsimonia: un agente qua
un altro là, sempre in borghese
La divisa si sa crea l’allarme…
Ormai passato è il tempo
s’aspettano risultati:
qualcosa prima o poi salterà fuori.
Tanto ben lo sappiamo:
tutto verrà a galla!
Da noi il fatto certo è questo qua
non fare niente, che niente si sa…!
Man mano che un problema viene
trova, nel breve… soluzione.
Maria Maddalena Monti
Opera 6^ classificata
Shoah
Siete saliti su quel treno
si sono chiusi i battenti
sull’ultimo scorcio
di pace.
Alla rinfusa,
in quella stanza
le vostre valigie,
i vestiti, le fotografie
e qualche ben nascosta
gioia.
Quel calore di bestie
ammassate…
Dov’è il caldo
delle vostre case?
Le linde tende alla finestra
e la treccia ben stretta
della vostra bambina?
Non capite perché,
larve umane,
vagate in quel campo,
animali a rubarvi
l’ultima radice.
Più non vi chiedete
se siete ancora vivi.
In alto, nel castello
i canti, i balli, le raffinate
conversazioni.
Fuori dal recinto,
là nella casa,
la zuppa a cuocere
e dal camino
il filo di fumo.
Nera una nube
lassù nel cielo:
son voci, respiri, pianti
nell’ultimo abbraccio
mani a congiungersi.
Claudia E. Turco
Opera 7a classificata
Un bambino autistico
Un pianto straziante e incessante
un silenzio strano e improvviso;
un dondolio continuo
lo sguardo assente
fisso nel vuoto
immerso in un’altra dimensione.
Ma che reato ha commesso quel bimbo
condannato a un completo isolamento:
non è inferno ma una specie di limbo
speranza di un paradiso remoto
attesa infinita di qualche cosa
di una qualche comunicazione;
un groviglio di percezioni
polvere di visioni
polvere di più suoni
contatti polverosi
caos di sensazioni
difficili da afferrare
difficili da separare
difficili da ordinare;
le mani si agitano
dondolando si aiuta
a calmare quell’ansia:
un mondo diverso
un mondo distante
una creatura priva di amici
un essere bisognoso di affetto
di venire compreso
di venire accettato
per le virtù celate
dietro uno sguardo vuoto
mentre è impegnato
a emergere dal caos
a cogliere almeno
una sola sensazione.
Massimiliano Sonsogno
Opera 8^ classificata
AAA Cercasi genitori
(a M., dopo l’aborto)
Vittima ancor prima di essere giudicato;
alato prima di aver fatto il primo passo;
amato prima di aver mosso
medici e dottori
per metter fine ai dolori
dei più egoisti tra tutti i genitori.
In alto,
con il cielo fra le mani
e negli occhi i sette mari.
Vincitore di un appalto
per trovare l’amore di Dio
dove ormai la “d” è scomparsa
perché rimanga solo “io”
Stefano Alberini
Opera 9^ classificata
Senza titolo
M’immergo, nella tua anima.
Occhi, scuri, appena accennati,
profondi, come il canyon,
nel mio cuore attraversato
da un fiume che ancora brilla.
Potenza, delicatezza,
di un solo rifugio
di un solo amore.
Immensamente grande,
anche se appena accennato.
Aquile nere, sopra i miei pensieri,
giorni, d’immenso non capire,
e tutto in un viaggio eterno interiore,
spezzata l’ultima lancia,
lanciata, l’ultima sassata.
Ecco, il suono, trambusto,
che ti riecheggia dentro.
È suonato l’allarme è crollata
la speranza, quella bomba
ha ucciso, il mio amore.
Quella terra, ha accolto Dio,
ora è come una spugna
intrisa di sangue, e il Giordano
sta a guardare, i figli dell’Altissimo,
morti, con gli sguardi digrignati,
nel dolore, di una bomba che
ti ha aperto il ventre
facendo scappare dal tuo costato
la speranza del Nuovo Sole.
(dedicata ai combattimenti in Terra Santa, dicembre 2008 – gennaio 2009)
Vincenzo Arrighini
Opera 10a classificata
Sotto il pennone dell’Argo
Seduto pensoso sotto il pennone possente dell’Argo,
odo gravose remate picchiare e vicine,
voga dolente di genti venute dai quattro versanti di Gea,
dagl’iridi in ghiaccio ed il crine dorato,
dagl’occhi nocciolo e il corpo color dello cielo stellato.
Dinnanzi del remo tutti a tirare il medesimo e forte,
che sotto il pesante tamburo,
ci batte a rintocchi la vita e la morte
e dunque si voga pe’l proprio dovere,
tanto per cari quanto per fame.
Dietro le vele rigonfie dei mille destini dell’uomo,
da sempre monarchi e burocrati stendono folli egoismi,
grandi speranze e sontuosi comizi,
alte manovre di tela tessute da ragni capaci di muoverci in massa.
Produci e consuma, muto e cosciente piegato
tra spreco ed immensa lordura,
uno di certo può dar la fiducia al cantar di sirena
ma cento non posson gettarsi alle onde col primo.
Fra mezzo li seggi operosi del nostro legnoso natante,
ho visto la peste, l’afflitto, l’invidia e il brigante,
fra mezzo li passi degl’ultimi al mondo
v’e quelli di madre, d’anziano e di bimbo
e quelli di chi va raschiando sul fondo.
Sospesi insicuri s’un pezzo di giunco
percosso dai flutti e spazzato dal vento,
naufraghi urlanti si scorge nell’acqua
presto attorniati da branchi di squali,
quel che mi chiedo,
travolto dall’onda che cozza e che spezza,
sta nella scelta più fonda e più dura:
se fossimo deboli, curvi e sottesi alla chiglia di prora,
con mani di rete e il dorso piumato dell’ala che vola
terremmo incuranti la rotta in avanti
o a cuore che palpita presto li andremmo a salvare?
20/11/2008
Giovanni Boninsegna
Opera vincitrice ex aequo sezione vernacolo
Cor che ride
’Ndo elo scapà
el me carneval
picenin?
Quatro strasse,
on capèl,
’na mascarina
parecìa da me mama.
’na spada de carton
e… s’era Zoro.
Ne l’aria
ciondolini colorè,
ruèle deslighè…
la neve
a farme festa.
Pronto a slongar
el col
al caro che passava.
La procession
l’era curta,
ma l’Arlechìn
che nasséa drento,
me fa contento
’ncora ’desso.
Traduzione:
Cuore che ride
Dov’è andato il mio carnevale bambino?
Quattro stracci, un cappello, una maschera preparata da mia madre, una spada
di cartone ed… ero Zorro.
Nell’aria coriandoli, stelle filanti… la neve a farmi festa.
Pronto ad allungare il collo al carro che passava.
La sfilata era corta, ma l’Arlecchino che nasceva dentro, mi fa contento ancora adesso.
Angelo Rivolta
Opera vincitrice ex aequo sezione vernacolo
I strascé
Parli un po’ del temp indré,
quand s’eri un fieu nel dopu guéra,
un tricicul cun un picul carèt tacà,
nass sta storia vera, tèra tèra.
Lü de nom Pinin lee Bambinota,
perché l’era grosa cumè una buta.
Fasevan el gir de tutt i curt un dì la setimana,
vendevan savun e acqua de bügada,
in cambi ritiravan de la gent ul fer, toll e strasch.
Metevan sta roba su una bascüla vegia cumè lur,
anca se rubavan un po’ in sul pes,
la gent la capiva sta furbizia,
lasavan perd e finiva tütt in letizia.
Nunc fieu purtavum la nosta roba,
fasevum poca muneda per i noster vizi,
assée per una gasusa o al masim un limunsoda.
Finì sto gir a cuntentà un po’ de cristian,
Pinin e Bambinota rusava el tricicul cun tacà el caret,
a man, pesant e pine de mercanzia,
südavan da la fadiga, facil ghè nient,
anca par lur per un toc de pan da met tra i dent.
Traduzione:
Gli stracciai
Parlo un po’ di un tempo passato,
quando ero ragazzo, finita la guerra,
un triciclo con un piccolo carretto attaccato,
nasce così questa storia vera.
Lui Pinin Lei Banbinota (bambina grossa)
perché era grassa come una botte.
Facevano il giro di tutti i cortili un giorno alla settimana,
vendevano sapone, e acqua da bucato,
in cambio ritiravano stracci, ferro e barattoli vuoti,
mettevano tutta questa merce su una bilancia
vecchia come loro, rubavano sul peso, la gente
sapeva di questa furbizia, lasciava perdere e
salutava in letizia. Anche noi ragazzi portavamo
qualche cosa, per fare moneta che bastava per una gassosa
o al massimo per un lemon soda.
Finito il loro giro e servito un po’ di gente il Pinin e
la Banbinota spingevano il triciclo col carretto pieno
pesante e a mano sudando di fatica perché per tutti
facile non c’è niente e per loro voleva dire
un pezzo di pane da mettere fra i denti.
Penser munsciasc
Me sun decis a la mia età a scriv queicoss,
sun pü un pivell, ma la vöia la gh’è amò.
Quant mangi, me piass pelucà la carne fin ai oss,
anca se i dent scrissan e la buca l’è un falò.
Se pö fo i scal un po’ de vulada,
me manca el fiaa, alura ghe veur una rüsümada.
Però van ben inscì,… se dev guardà chi sta pecc,
perché la vita in una manera o un’altra,
lè sempre bela, basta acetala cuma l’è.
Senza udiass senza cativeri, cun la cuscienza néta,
fa nient se ghé no la machina,
minga tüc pöden vess sciuri,
sem cuntent anca cun una biciclèta.
Traduzione:
Pensieri monzesi
Mi sono deciso alla mia età a scrivere qualche cosa,
non sono più pivello, ma la voglia c’è ancora.
Quando mangio mi piace piluccare la carne fino alle ossa
anche se i denti scricchiolano e la bocca brucia come il fuoco.
Se poi faccio le scale un po’ di fretta,
mi manca il respiro, mi ci vuole un uovo sbattuto,
però va bene così, si deve guardare chi sta peggio,
perché la vita in una maniera o nell’altra,
è sempre bella, basta saperla accettare com’è.
Senza odio, senza cattiveria, con la coscienza pulita,
non importa se non c’è la macchina,
non tutti possono essere ricchi,
siamo contenti lo stesso basta anche una bicicletta.
Alba Silva
Opera vincitrice ex aequo sezione vernacolo
La sveglia dal gal
A leva ancura scur, al gal al cantava,
e tuta la famiglia s’vigiava.
Pinot andava an tlà so stala mus i vac
la so Pinota, an fond al curtil
arigulà al pursè e i galin;
i fioi i spriparavu par andà scola.
Po pinot e la so Pinota,
satà sul caret tirà dal cavà
in davu an campagna a laurà;
a mesdì i gnivu’ nò cà a mangià
i pirdivu trop temp,
alura i stavu an su unars’n,
cun un po ad paia suta al cù,
e tiravu fora ad la so sachetta un quai michin
cun toc ad salam suta grasa,
e una buta ad vin miscià cun l’acqua.
I turnavu la sira bei strac,
e l’gavu ancura tuc da fa:
Po an tal lec i gavu gnancà
voia da guardas dos;
ma al so amur leva tantu fort,
che la strachessa la mitivu an dispart;
e si strinsivu cun tanta teneressà,
e san durmentavu iun visin a l’autar,
a spicià che al gal al cantas ancora
par gnì su e cuminicà a laurà.
Traduzione:
La sveglia del gallo
Era ancora buio; il gallo cantava,
e tutta la famiglia si svegliava.
Giuseppe andava nella stalla a mungere le mucche
la sua Giuseppina in fondo al cortile
accudiva, al maiale e alle galline.
I bambini si preparavano per andare a scuola.
Poi Giuseppe e la sua Giuseppina,
seduti sul carretto, trainato dal cavallo,
andavano a lavorare in campagna;
a mezzogiorno; non facevano ritorno a casa,
per mangiare
perdevano troppo tempo;
allora si sedevano su di un argine,
con un po’ di paglia sotto al sedere;
toglievano dalla bisaccia qualche panino
e un pezzo di salame sottograsso,
una bottiglia di vino, mescolato con acqua.
Tornavano alla sera molto stanchi,
e avevano ancora molte cose da sbrigare:
Poi la sera nel letto, non avevano
più la forza di guardarsi in viso;
ma il loro amore era così grande,
che la stanchezza la lasciavano in disparte;
si stringevano con tanta tenerezza,
e si addormentavano l’uno accanto all’altro;
aspettando che il gallo cantasse ancora,
per alzarsi e ricominciare a lavorare.